-{Your Darkness.

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La N o i a Incombe
00sabato 13 agosto 2011 22:51
[Non per stomaci delicati]
-{Your Darkness.



Deglutisci a fatica, scossa da mille tremiti. Piano piano cominci a sentire il respiro mancare; ti guardi attorno, quindi, decretando che ciò che i tuoi occhi osservano non appartiene più al tuo mondo.
Non è l’universo attorno a te a mutare, però. Sei tu.
“E’ la fine” pensi in un moto di lucidità. Ti abbandoni completamente al dolore ed alla stanchezza profonda, “finalmente la fine”.
Ed il buio t’imprigiona.

[…]


Bip.
Bip.
Bip.
Quel suono acuto, una pausa di poco più di un secondo e poi nuovamente quel rumore estremamente irritante.
A non finire, si ripete proprio a non finire, costringendoti prepotentemente a tornare in te.
Non vuoi, cerchi disperatamente di tornare all’oscurità, ma troppo velocemente senti i sensi acuirsi e la capacità di pensiero coerente riaffiorare.
Tieni comunque gli occhi serrati, decidendo di capire, come prima cosa, dove ti trovi. Annusi l’aria, per poi storcere il naso in una smorfia a metà tra il disgustato ed il rassegnato.
Medicinali.
Sei in un ospedale -hai fallito. Non sei riuscita nemmeno a toglierti la vita, allora sei proprio inutile come ti sei sempre considerata.
Ti senti strana, la sonnolenza non sembra volerti abbandonare, senti gli arti terribilmente molli e pesanti, eppure i tuoi sensi sono acuti, riesci a percepire ogni insopportabile rumore: il ventilatore che gira, il seccante “bip” delle apparecchiature nella stanza, perfino un paio di mosche ronzanti ed il chiacchiericcio soffuso delle infermiere nei corridoi.
Apri gli occhi e più rapidamente del normale metti a fuoco la stanza d’ospedale avvolta nell’oscurità. Nonostante ci siano tre letti, per ora sei l’unica ad occupare questa stanza.
Non ci sono orologi, ma la tenda a Veneziana semiaperta non mente: è notte.
Con un sospiro, cerchi di metterti seduta, ma vieni aggredita a tradimento da una forte ondata di nausea e, adesso, i dolori addominali che al risveglio ti erano sembrati trascurabili, sono insopportabili; crolli di nuovo con la testa sul cuscino, dunque, sfiorandoti con le mani la parte dolorante, solo per scoprire che i dolori non sono solo allo sterno ma in praticamente tutto il corpo. Trattieni un gemito.
«Ah, ti sei svegliata».
Ti volti di scattò, procurandoti una fitta alla testa ed un vago senso di vertigine.
Colui che ha parlato è il più bel ragazzo che tu abbia mai avuto la fortuna di vedere, ma ciò non t’impedisce di trovare la sua voce maledettamente irritante, come qualsiasi altro rumore al di sopra del battito d‘ali di una farfalla, a pensarci bene. Sembri improvvisamente diventata intollerante al suono; strano, no?, ma abbastanza comprensibile, data la sostanza che hai usato per cercare di mettere fine alla tua vita.
Conosci alla perfezione gli effetti collaterali, hai fatto una ricerca durata mesi, al riguardo; avevi preparato tutto nei minimi dettagli, eppure hai miseramente fallito.
Non sei buona nemmeno a morire, sei una totale incapace.
«Complimenti… ehm». Il ragazzo controlla un foglio dalla cartella che stringe in mano, poi torna a rivolgersi a te, sorridendo appena, «Coehl Helena. Complimenti, Helena, sei la decima persona che oggi tenta il suicidio» dice, sarcastico.
Storci il naso, osservando il cartellino col nome che tiene appuntato all’anonima divisa azzurra da infermiere.
Jesse Noctgod.
«E cos’ho vinto?» borbotti, demoralizzata. In questo momento tu non dovresti essere in questo ospedale a parlare con Jesse, in questo momento tu avresti semplicemente dovuto cessar d’esistere da un bel po’ di ore.
Il mezzo ghigno sarcastico di Jesse diventa un sorrisetto accennato, «i sintomi della tua bravata, gli effetti dei barbiturici che ti sono stati somministrati come antidoto ed un soggiorno di giorni ancora indefiniti in questo ospedale psichiatrico, in osservazione» elenca, sollevando un dito della mano destra per ogni punto spiegato.
Ti senti sprofondare ancora di più nel materasso, quasi immaginando, speranzosa, che non sia altro se non la tua tomba. Come avevi già messo in conto, non ti sarebbe stato permesso di tornare subito a casa e quindi riprovarci. Ora, come punizione per il tuo fallimento, dovrai aspettare un numero indefinito di giorni prima di poter provare nuovamente a mettere fine ad ogni cosa.
Jesse si siede su uno dei letti vuoti ed accavalla le gambe, senza smettere di fissarti con interesse, «sono curioso» esordisce, «di solito chi cerca di suicidarsi, in maggior numero le donne, cerca di farla finita nel modo più rapido ed indolore possibile… perché la stricnina?» domanda infine.
Sai? Tu sei l’eccezione a tutto ciò che lui ha studiato sugli aspiranti suicidi, per lui sei solo nuovo materiale di studio, ovviamente non gli importa scoprire qualcosa su di te a livello personale, gli interessa solo studiarti e “risolverti” come se tu fossi solo una semplice equazione. Deve esaminarti, è il suo lavoro.
«Volevo morire male» mormori dopo lunghi secondi di silenzio.
«Dimmi qualcosa che non so» fa, sarcastico.
«Per… per punizione» spieghi a sguardo basso, «la mi morte avrebbe fatto stare male le persone che tengono a me, quindi morire in maniera tanto dolorosa sarebbe stata la mia punizione».
Nuovamente, un sorrisetto si dipinge sul volto del ragazzo, « non dovevano tenerci poi così tanto, se sei arrivata a tentare il suicidio» mormora con tono indecifrabile.
Abbassi lo sguardo, infondo lo sai benissimo che lui ha ragione, senza nemmeno conoscerti è arrivato al nocciolo della questione.
Hai passato la vita -anzi, non la vita ma la sopravvivenza- a nasconderti dagli altri per poterti crogiolare in quella sofferenza derivata dalla mancanza di quel “qualcosa” che tu stessa non riesci a definire.
Forse si tratta unicamente della voglia di vivere… quella ti è sempre mancata o stata sottratta.
E’ da quando hai memoria che senti la morte chiamarti a sé. La tua sopravvivenza forzata è sempre stata buia, illuminata unicamente da raggi di un buio ancora più denso ed angosciante.
La voce del ragazzo interrompe il tuo annegare in quei pensieri; «ma perché proprio la stricnina? Anche tagliarsi le vene è abbastanza doloroso ed è più semplice da mettere in atto, no?»
Distogli lo sguardo dal suo bel viso ed il materasso sembra inghiottirti ancora di più. «Io… io ho il terrore del sangue. N-non lo posso vedere».
«Quindi se fosse l’unico metodo, non ti uccideresti?»
Ti guardi attorno, come per trovare le risposte che cerchi nell’arredamento asettico della stanza, «No… sì… forse. Non ne ho idea!» sbotti alla fine, irritata come poche volte in vita tua. Cosa vuole da te quel tipo?
Lo osservi di sottecchi, il suo viso per pochi istanti s’è contratto in una smorfia.
«Allora vuol dire che non vuoi davvero morire. Forse è per questo che hai sbagliato il dosaggio della stricnina; Inconsciamente od intenzionale che fosse» decreta.
Il tuo respiro si fa rapido ed irregolare per l’ira, procurandoti ulteriori fitte allo sterno «tu non sai niente di me! Niente! Vattene via!» esclami, la voce più acuta di un’ottava. Incroci le braccia al petto, in preda allo sconforto.
Lui lo sa.
Sa bene che ora lo stai mentalmente maledicendo per averti indotta a pensare a cose che avresti preferito escludere dalla tua mente da quando hai memoria ma che, puntualmente, tornano a punzecchiarti.
Sembra quasi che i tuoi più oscuri pensieri si divertano, come quel ragazzo, a torturarti, a portarti al limite per vedere cosa succede una volta che ti sei spezzata.
Inaspettatamente Noctgod fa come gli hai chiesto e, senza aggiungere altro se non un sorrisetto indecifrabile, esce dalla stanza, lasciandoti sola.
Sei sola, Coehl Helena… e sai cosa succede a chi rimane solo?
Ti nascondi sotto le coperte, col timore che l’oscurità decida, infine, di divorarti come ha già fatto con la tua anima.
Come sei arrivata a questo punto, Helena?
Scuoti la testa. No, non vuoi pensarci, non vuoi assolutamente ricordare per quale motivo ogni secondo che passa la tua voglia di morte aumenta sempre di più.
Senti la porta riaprirsi e alzi di scatto la testa, lanciando un’occhiataccia omicida a Jesse che aveva osato rimettere piede nella stanza.
Stringe in mano una lametta e te l’appoggia sul comodino, «vedremo entro domani mattina se vuoi morire sul serio o sei solo l’ennesima primadonna che tenta di attirare l’attenzione» si limita a dire, per poi guadagnare la porta per la seconda volta nello spazio di pochi minuti.
Guardi la lama con terrore e desiderio assieme. Dopo il tuo fallimento ti senti sempre più “determinata”, vuoi solo sentire il dolore di una ferita mortale e poi più nulla.
Vuoi e al tempo stesso ti rifiuti di vedere il sangue cremisi sgorgare senza sosta dai tuoi polsi.
Deglutisci a vuoto e poi afferri la lametta. La osservi attentamente e lei stessa ti restituisce lo sguardo, rendendolo sardonico.
Sarai abbastanza forte da non essere così debole, Helena?
La poggi sul polso e fai pressione. Emetti un sospiro liberatorio, quando un acuto dolore ti dice che la lama è penetrata nella carne, ma alla vista delle gocce di sangue rabbrividisci e ritiri l’arma senza prima di farla scivolare a recidere le vene.
Non puoi farlo!
Il terrore t’immobilizza e sembri incapace di muovere più anche solo un dito.
Distogli lo sguardo, sentendo i sensi farsi sempre più liquidi ed inafferrabili, se ne stanno andando.
Respiri veloce, cercando d’imbottire il cervello d’ossigeno per impedirti di cadere nell’incoscienza, non puoi permetterti di svenire prima di aver portato a compimento la tua opera.
D e v i
A n d a r e
F i n o
I n
F o n d o.
Te lo scandisci bene nella testa, sperando che ciò basti. Quando ti senti fuori pericolo, torni a fissare la lama.
La riappoggi alla ferita già aperta e, dopo aver chiuso gli occhi, lentamente la fai scorrere, gustandoti il dolore ed il suono della carne che si squarcia contro la lametta.
Sei andata tanto in profondità da recidere il tendine ed i nervi; ti mordi con violenza il labbro inferiore: non puoi urlare, oppure qualcuno potrebbe scoprirti ed il tuo sforzo si rivelerebbe nuovamente inutile.
Apri gli occhi, preparandoti alla nausea che invece non arriva. Il sangue esce a fiotti, ma adesso non è più terribile, solo affascinante… ma va ancora troppo -troppo!- lento.
Non riesci più a muovere la mano del braccio ferito e la soluzione ti arriva rapida come un fulmine a ciel sereno.
Ti mordi a sangue il polso, finché non senti un ragionevole fiotto di sangue caldo invaderti la bocca col suo sapore ferroso. Ti abbandoni nel letto, osservando le candide lenzuola tingersi rapidamente di rosso; a tenerti compagnia, solo un dolore dolce e lancinante ai polsi.
Non sei in grado di dire se siano passate ore, minuti o miseri secondi, ma finalmente avverti il buio -quello vero, definitivo, senza via d’uscita- avvolgerti nella sua oscura e rassicurante coltre.
“Finalmente la fine”.
Epicurus666
00domenica 14 agosto 2011 01:19
Spettacolare..ti giuro l'ho letto tutto d'un fiato..ti dispiace se lo pubblico su facebook e lo faccio conoscere un pò in giro? garantisco il copyright ovviamente U_U
La N o i a Incombe
00domenica 14 agosto 2011 01:35
Ne sarei onorata^^
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